Come sono vecchie le nuove idee.

Data Corsivo 11 marzo 2012 | Corsivo n° 10 |

Mario Draghi ha dichiarato al Wall Street Journal che stiamo entrando in un “Nuovo Mondo”, nel quale non ci sarà più posto per il Welfare state europeo, che è ormai superato (se non addirittura morto).
Con il suo solito stile “sorvegliato”, anche il Presidente Napolitano (che-il-suo-nome-non-sia-mai-pronunciato-invano) ha detto che è necessario ripensare le politiche sociali perché “il mondo è cambiato”.
Ma cosa vuole dire concretamente cambiare il Welfare, abbandonare il modello europeo di stato sociale, ripensare le tutele per entrare nel “Nuovo Mondo” che ci attende?

L’idea sembra di quelle “di nuovo conio”. E ogni “novità”, si sa, è BUONA e NECESSARIA. Contraddirla vuol dire essere conservatori (vade retro!). D’altra parte, ne va del nostro ingresso nel “Nuovo Mondo”!
Peccato che a considerarla nei suoi contenuti, non si dimostri affatto nuova. Se come cittadini riuscissimo almeno a ricordare (di ragionare non se ne parla più ormai), forse potremmo renderci conto che sono almeno trenta anni che si insiste sull’esigenza di “cambiare il Welfare”. E non solo a parole!

Sfido chiunque a trovare anche solo una finanziaria dal 1980 in poi, nella quale non siano stati effettuati tagli alle spese degli enti locali, della sanità, della scuola. A metà degli anni ottanta si è provveduto a colpire il meccanismo di rivalutazione automatica dei salari e degli stipendi all’inflazione(scala mobile), per poi abolirlo del tutto agli inizia degli anni novanta. Anche lì si promettevano in cambio più opportunità occupazionali. Poi si disse però che non bastava la politica di “moderazione salariale”, erano necessarie “riforme del mercato del lavoro” troppo rigido. E abbiamo visto come è andata a finire.
Contestualmente si è passati a “sistemare il sistema pensionistico” (quante riforme necessarie!). Naturalmente, i salari e gli stipendi hanno nel frattempo perso gran parte del loro potere d’acquisto, a tutto vantaggio delle rendite e dei profitti.

Negli ultimi anni, poi, l’azione “riformatrice” ha accelerato: nel solo 2011 “il fondo per le politiche sociali, che serve per finanziare interventi di assistenza alle persone e alle famiglie, è passato dai 929,3 milioni di euro ad appena 273,9 milioni. Il fondo per la non autosufficienza, che nel 2010 aveva uno stanziamento pari a 400 milioni, è scomparso. Il fondo per le politiche per la famiglia è passato da 185,3 a 51,5 milioni, quello per l’infanzia e l’adolescenza da 30 a 3 milioni, quello per il servizio civile da 299,6 a 110,9 milioni. E infine quello per il sostegno all’affitto è sceso a 32,9 milioni dai precedenti 143,8.” (vedi: Italia: ecco quel che resta del Welfare http://www.libereta.it/index.php).

Mi sorge quindi il legittimo sospetto che queste idee “nuove” siano in realtà la vecchia ricetta del neoliberismo, che si è dimostrata fallimentare per le economie dei paesi occidentali, ma straordinariamente vantaggiosa per la ricchezza e il potere delle classi dominanti.

L’idea che sia ormai giunto il momento di dichiarare la morte del Welfare e che sia necessario eliminare le “rigidità del mercato del lavoro” (leggi: cancellare le norme che tutelano i lavoratori dalla pre-potenza del capitale), viene giustificata con un argomento ideologico di questo tenore: ”le tutele di legge che proteggono i lavoratori dai licenziamenti e le forme di sostegno sociale come il salario minimo, bloccano il naturale progresso economico e rammolliscono la manodopera, convincendola che il suo benessere dipenda dal sostegno sociale dello Stato e non – come dovrebbe invece credere fermamente – dalla sua capacità d’iniziativa, disponibilità a cercare nuovi lavori, a inventarli e ad accettare quelli che ci sono.”

La Ministra Fornero ha espresso questo “concetto” nella forma più sgradevole (del resto lo ha detto lei stessa che è una specialista in comportamenti sgradevoli): “con un reddito base la gente si adagerebbe, si siederebbe e mangerebbe pasta al pomodoro”.
È dunque con questo bagaglio teorico che ci accingiamo ad entrare nel Nuovo Mondo che ci attende e di cui anche Giuliano Ferrara ha fatto recentemente l’elogio?
Peccato che a ben guardare queste idee siano vecchie di almeno 200 anni.

J. Bentham (1748-1832) sosteneva infatti che “i poveri lavorano solo se spinti dalla fame” e per questo voleva abolire la Poor Law (Legge sui poveri) che forniva assistenza a coloro che non svolgevano un lavoro. T. R. Malthus (1766-1834), a proposito della condizione del povero, sosteneva che “L’accesso al pubblico soccorso ... gli deve essere chiuso... bisogna fargli sapere che per legge di natura... non può esercitare contro la società alcuna specie di diritto per ottenere la minima particella di nutrimento al li là di quanta possa procuragliene il suo lavoro “Se fosse convinto di ciò, il povero non sentirebbe malcontento “contro il governo e contro le classi superiori”, perché non potrebbe che prendersela con se stesso: esattamente quello che si è riuscito a far credere oggi.

Nell’ articolo di fondo del 24 marzo, il Direttore del Corsera De Bortoli ci spiega che sulla “riforma” dell’articolo 18 la sinistra si sta attardando su categorie “novecentesche”. Se sapesse che le teorie che sostiene lui e i ministri del suo governo tecnico sono addirittura settecentesche!!
Però De Bortoli ha buon gioco a spacciare per nuove le sue vecchie ideologie, la propaganda, come la chirurgia estetica, riesce infatti a far apparire giovani anche i vecchi più decrepiti. Così anche le dottrine più assurde si presentano con l’aspetto della novità e del successo, nonostante il loro evidente fallimento.

Se non bastasse, per convincersi del fallimento cui vanno incontro le teorie neoliberiste, l’attuale crisi economica e sociale prodotta dal capitalismo finanziario e dal suo apparato ideologico, si potrebbe confrontare i tassi di crescita economica negli anni 1950-1973 – cioè del periodo in cui si è realizzato il compromesso tra capitale e lavoro, caratterizzato da maggiori diritti, crescita dello Stato sociale e salari più alti – con i risultati degli anni 1978-1998.
Si scoprirebbe allora che nel primo periodo l’Europa occidentale ha avuto un tasso medio di crescita del PIL pari al 4.08%, mentre nel secondo periodo è stato dell’1.78%. Inoltre, i paesi capitalistici nel loro complesso sono cresciuti del 3.72% nel primo periodo e solo dell’1.98% nel secondo. Infine, a livello mondiale la crescita media del PIL negli anni 50-73 è stata del 2.93%, mentre bel periodo 78-98 è scesa all’1.33%. (Fonte: Ocse, The World Economy: A Millenium Perspective).

Sono certo, tuttavia, che il furore ideologico dei nostri neoliberisti non si farà condizionare da questi dettagli!



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