(seguito di “Patetici”)
E allora proviamo a guardare la vera realtà della crisi, senza farci fuorviare dalle bugie interessate dei “piazzisti” del capitale finanziario.
I fatti – che pure sono clamorosamente sotto i nostri occhi – ci appariranno, senza il velo della loro propaganda, nella loro semplicità disarmante.
1. Iniziata a causa della follia predatoria del capitale finanziario, che per decenni ha imposto la progressiva riduzione dei salari e dei diritti dei lavoratori e così provocato il fallimento del suo stesso sistema di accumulazione basato sull’indebitamento della classe media e della “working class”, la crisi è ben presto diventata l’occasione per un’ulteriore offensiva delle classi dominanti , che ne stanno scaricando il costo sulle componenti più deboli della società. In questo senso la crisi è lo strumento per la ridefinizione dei rapporti di forza sociali – in termini di ricchezza e potere – a vantaggio delle classi dominanti.
2. La crisi è però anche il modo attraverso il quale vengono ridefinite le gerarchie tra le aree dell’economia capitalistica globalizzata e tra i paesi
all’interno delle singole aree. Da questo punto di vista, quindi, grazie alla crisi si ridefiniscono i ruoli nella divisione internazionale del lavoro,
del consumo e della accumulazione del capitale.
Come avviene nella ridefinizione dei rapporti tra le classi sociali, anche nella competizione tra paesi e aree economiche ha la peggio chi è più debole.
Quindi l’Europa è ovviamente “nel mirino” – un pò per ragioni obiettive, un pò per la “follia” delle sue classi dirigenti –.Naturalmente solo i fessi o
chi è in mala fede crede alla favoletta della crisi dei debiti sovrani prodotta dalle spese per le pensioni e le Olimpiadi di Atene.
I debiti degli stati, è evidente, rappresentano solo lo strumento “per tenere sotto” gli europei (si legga in proposito l’editoriale di Giorgio Ferrari
sull’Avvenire intitolato I signori della guerra:
http://www.avvenire.it/Commenti/Pagine/i-signori-della-guerra.aspx)
questa strategia, ovviamente si giova della complicità dei tedeschi, che grazie all’enorme attivo della loro bilancia commerciale, possono adottare politiche
espansive all’interno mentre impongono alla gran parte delle economie europee cure da cavallo basate su tagli ai budget pubblici (pensioni, sanità, ecc.)
che stanno provocando recessione e crisi, ma soprattutto una sostanziale subordinazione delle altre economie europee
(vedi l’articolo di Mario Fotis Berlino, Keynes e l’austerità altrui, Il sole 24 ore: http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2012-04-01/berlino-keynes-austerita-altrui-144321.shtml?uuid=AbrueUHF).
Perché la Germania agisce così? Per egoismo? Diffidate delle risposte basate su categorie psicologiche. In realtà la Germania sa che nel “Mondo Nuovo” che ci attende
(quello vero, non quello che ci raccontano le favole di Ferrara, Draghi, ecc.) non c’è poso per i deboli. O meglio, ai deboli, come l’Italia, spetta solo un ruolo
nel girone infernale delle economie subalterne. E le riforme” che il governo tecnico e quelli precedenti hanno fatto e faranno sono funzionali a ricollocare
l’Italia nel nuovo ordine internazionale. D’altra parte quale altra fine può attenderci se a distanza di sessanta anni dal boom economico che ha segnato
l’ingresso del nostro paese nelle economie industriali, il nostro vantaggio competitivo continua ad essere il lavoro a basso costo, mentre oggi nel mondo
l’offerta di lavoro a “buon mercato” è esorbitante? Le riforme della Fornero non sono altro che il modo attraverso il quale l’Italia si adatta a diventare un’area
low cost, sia per il lavoro che per i consumi.
Tranne i migliori asset nazionali, che verranno acquistati da capitale straniero, il resto del sistema produttivo si collocherà in una funzione di fornitura
di prodotti semilavorati a basso valore aggiunto e di infima qualità tecnologica. Ecco perché i cervelli che formiamo a carico dell’erario pubblico “non servono”
e li trattiamo così male, inducendoli ad andarsene dall’Italia.
3. I fenomeni sopra descritti non vanno visti però come se fossero separati: la ridistribuzione della ricchezza a vantaggio delle classi dominanti all’interno dei singoli paesi, si congiunge coerentemente con la ridefinizione delle gerarchie internazionali. Per spiegare questo fenomeno non riuscirei a trovare parole più adatte di quelle che usa Alfredo Reichlin sull’Unità di giovedì 19 aprile. Gli lascio quindi volentieri la parola: “il fenomeno a cui stiamo assistendo è l’aumento, nei paesi ricchi, di una grande povertà e, nei paesi poveri, di un forte sviluppo insieme a una miseria assoluta. Il tutto con crescenti disparità nel campo della conoscenza. Sembra di assistere all’avvento non di una nuova democrazia, ma di un’aristocrazia planetaria del sapere, del potere, della ricchezza, a fronte di una massa di semplici consumatori, e più in basso ancora, di esclusi sia dal potere che dai consumi. I nuovi schiavi.”