La "Falena" postmoderna.
di Umberto Galeazzi - Inserito il 21 luglio 2010
II vecchio Marx diceva che quando il "sole dell'avvenire" tramonta, le falene vengono attratte dalla luce fioca delle lampade che riverberano nella calda intimità delle abitazioni private. Forse questa immagine è una delle più adeguate a comprendere la "stagione delle passioni tristi".Nell' attuale stagione " delle foglie morte " si rischia di entrare in un lungo inverno in cui le passioni si piegano e si accartocciano intorno a un sé spolpato della propria fisicità e deufradalo delle passioni civili e della memoria.
Uno dei maggiori sociologi viventi, polacco di nascita e inglese d'adozione, Zygmunt Bauman, affida ad un'intervista di poche pagine, in formato tascabile - " Intervista sull'identità " a cura di Benedetto Vecchi, (Editori Laterza, Euro 10) - alcune riflessioni che costituiscono un "distillato" delle sue numerose pubblicazioni tratte dall'osservazione delle condizioni contemporanee prodotte dalla "liquefazione" delle forme sociali e dei legami collettivi.
La modernità aveva raccolto la sfida prometeica imponendo un' accelerazione tramite un processo continuo di "modernizzazione" che può essere definito come "il cambiamento compulsivo e ossessivo che nasce dal desiderio di modificare ciò che sei e ciò che ti sta attorno”. Univoci "segnali di direzione” avevano immesso l'umanità nel "circuito del progresso" che assicurava una crescita costante e senza limiti.
Ciò aveva permesso all'uomo moderno di acquisire "volume" scoprendo - come dice Totaro - " una molteplicità di dimensioni, in lunghezza in larghezza e in profondità [...] [poiché] la persona non è punto, è volume".
L'uomo che vive nella storia ha bisogno di profondità, per scorgere la strada da percorrere, di altezza per poter ampliare il proprio orizzonte, ma sopratutto di larghezza per instaurare un rapporto di affinità (e non di semplice dominio o dipendenza) con la natura e di solidarietà verso le persone che incontra lungo il cammino.
Bauman cerca le ragioni che, nella tarda modernità, hanno modificato i paradigmi di riferimento di questo percorso. Cerca le ragioni che hanno prodotto la perdita dei "segnali di direzione" e scopre che il progetto di vita postmoderno non è un puzzle, in cui si possono incastonare i pezzi per comporre un disegno predefinito, ma solo un bricolage in cui il disegno è in funzione dei pezzi disponibili.
La "locomotiva" del progresso ha continuato la sua corsa "compulsiva e ossessiva " senza alcun progetto sulla meta da raggiungere e sulle " stazioni " da toccare, condizionata unicamente dalla quantità di "carburante" disponibile che “I' altoforno" dello "sviluppo" richiede nella sua famelica voracità.
In questo nuovo corso le persone hanno perso di peso e di "volume", fino ad essere trasformate in realtà puntuali, "puntinite", in un mondo che ha ridotto lo spazio a " villaggio globale" e il tempo a un buco nero che trattiene la luce sul presente senza permettere di irradiare il passato ed affacciarsi sul futuro.
Gli effetti distorsivi spazio-temporali della società dell'informazione hanno disancorato le scelte di vita delle persone dal controllo sensoriale sull'ambiente (visivo, uditivo, olfattivo e tattile), e oscurata la memoria condivisa, legata al proprio territorio.
La "vicinanza" ottenuta dal "clic " del mouse ha provocato l'insicurezza e la deresponsabilizzazione proprie del "controllo a distanza" e prodotto le nuove gerarchie di potere legate al diverso grado di mobilità "virtuale " presente nel cyber-spazio.
La finanziarizzazione ha reso volatili le solide certezze dei beni materiali trasformando i rischi propri dell'attività economica in crisi di panico.
La deterritorializzazione delle aziende hat permesso di arricchire le cinture dei "tagliatori di teste" con "scalpi " che, per qualità e quantità, erano impensabili in epoche precedenti.
Nuove oligarchie hanno spostato i centri decisionali su "corridoi" alternativi e paralleli ai luoghi tradizionali della politica ottenendo il restringimento degli spazi collettivi.
Tutto ciò ha reso viscido il terreno, insicuri i puntelli e infide le certezze che reggevano i percorsi di vita individuali.
Questo viaggio intorno alla "mela" bacata del mondo globalizzato prende le mosse da una riflessione sulla identità poiché è questo il terreno su cui il "verme" ha scavato gallerie, nelle quali si sono condensate e agglutinate le mille contraddizioni dell'uomo contemporaneo.
L' identità va "inventata piuttosto che scoperta” e rimane in "uno stato di perenne provvisorietà". Essa nello stesso tempo aspira alla formazione della "memeté" che richiede "coerenza e continuità”.
Ha nel suo armamentario una "lama bifronte”: un fronte è rivolto alla difesa della singolarità contro "la pressione collettiva", che cerca l'assimilazione, mentre l'altro è curvato sul proprio interno e tende a smussare e a reprimere le differenze.
E' la "croce e delizia” del nostro tempo che vive l'ambivalenza, nella sfera individuale con insofferenza per l'inclusione e il terrore dell'esclusione , nella partecipazione alla comunità nella quale vede la difesa e le sicurezze derivanti dall'appartenenza ma anche la "croce" del vincolo e della costanza.
Si preferiscono, pertanto, le "comunità-guardaroba”, che assicurano vita breve e impegno limitato. Del resto I' identità del cittadino globale è un "vestito da indossare" che segue il ciclo del consumo (acquisto, utilizzo e dismissione); la ricchezza del guardaroba, da cui si traggono e si scelgono le identità, è un "fattore di stratificazione sociale".
II possesso di un solo abbigliamento "condanna " il malcapitato a portare lo "stigma" imposto dagli altri, mentre la sua completa mancanza produce la "nudità" della "sottoclasse" (sans papìer) in cui si vive dell'assenza dei diritti nel "limbo" creato per i cittadini "mai nati".
GIi strumenti elettronici sono i più adatti a sviluppare le "torsioni" e gli "oscuramenti " dei contatti sociali brevi, inodori e insapori, del tipo "usa e getta", con i quali i consumatori globali sopperiscono alla mancanza del sistema di prestazioni che "le reti reali di parentela, amicizia e fratellanza offrivano.
L' amicizia - "archetipo della relazione sociale per scelta" - e le relazioni amorose rimangono sotto lo scacco dell'ambivalenza, tra I' "ansia da rigetto " e I' angoscia da soffocamento, in un mondo che ha "sminuzzato" le grandi questioni lasciando in sospeso i grandi perché, che nascono dal " cuore " stesso della modernità.
In un mondo rarefatto, in cui il "virtuale" si sovrappone al "reale", la difesa della fisicità e dell'espressività del corpo hanno il sapore dell' " ultima trincea " sulla quale investire la tutela della propria identità.
L'industria dell'immagine ha capito questo bisogno e questa fragilità e ha creato il " lago " delle effigi e dei manichini sul quale far rispecchiare, come Narciso, l'io insicuro e fortemente polimorfo della tardomodernità per ammirare il proprio simulacro.
Cosa ha prodotto lo sfilacciamento dell'identità? Per rispondere alla domanda "chi sono io?" devo far riferimento a legami stabili che connettono l'io ad altre persone in un contesto sociale "strutturato dalla affidabilità e durata delle istituzioni e dalla fiducia nella vita collettiva”.
L'attuale processo di modernizzazione "rimescola gli individui mandando in rovina le loro identità sociali”.
Le forze della globalizzazione premono perché lo Stato non abbia più il potere o la volontà " per mantenere inespugnabile il suo matrimonio con la società". Lo Stato moderno aveva contratto un "matrimonio d'interesse" con la Nazione, per acquisire un "diritto di sangue" e un "patrimonio culturale" che il solo potere d'imperio sul territorio non gli poteva assicurare.
Nel far ciò aveva strutturato un contesto sociale e istituzionale, all'interno dello Stato-nazione, che facilitava la formazione di un'identità collettiva che tendeva al controllo, se non al monopolio, degli enti intermedi.
Bauman sposa la "teoria della nazione immaginaria” poiché egli pensa che le nazioni fanno parte delle comunità (secondo la formula di Siegfried Kracauer) "saldate insieme unicamente da idee o vari principii".
La loro nascita non è scritta sulla roccia o nelle leggi naturali ma discende da progetti e da "utopie" di gruppi più o meno allargati.
"L’ idea [...] d'identità nazionale [...] non è un parto "naturale" dell'esperienza umana, non emerge da questa esperienza come un lapalissiano "fatto concreto". E' un' idea introdotta a forza [...] e arrivata come una finzione "[...].L'identità' nata come finzione aveva bisogno di un gran dispiegamento di coercizione e di convincimento per irrobustirsi e coagularsi in una realtà
La variabilità dei soggetti promotori (monarchi, élites politico-culturali, popoli) e dei disegni ( risorgimentale, imperiale, di liberazione, di grande potenza, ecc.) ha diversificato i percorsi che possono essere identificati nel nazionalismo, nel repubblicanesimo e nel liberismo.
Da questa ricca varietà di approcci è nata la scelta dei vari "collanti " con i quali si è perseguita e gestita l'unità nazionale.
Il nazionalismo ha firmato "una cambiale in bianco" sposando la tesi della "teoria della nazione reale" che ritiene la patria "una comunità di vita e destino i cui membri vivono insieme in un attaccamento indissolubile".
II pensiero repubblicano ha considerato - secondo le parole di Renan - la nazione un plebiscito di tutti i giorni. Ha elevato a stella polare il bene comune, ottenuto mettendo la libertà individuale a servizio della ricerca collettiva.
La coesione repubblicana ha richiesto un patto che riconoscesse nei diritti universali il legame tra lo Stato e la società civile.
Il "patto repubblicano" ha coperto inoltre I' esigenza di assicurare a tutti i cittadini le risorse minime e il quadro istituzionale - istruzione pubblica, giustizia, sicurezza - per svolgere i doveri civici. Il "compromesso sociale", che era stata la risposta politica moderata al "faremo come in Russia", aveva allargato le assicurazioni sociali del Welfare State.
I due "patti", quello sociale e quello repubblicano, hanno avuto significati e ancoraggi diversi.
Quello sociale era legato a una congiuntura storica particolare - la centralità del lavoro - e come tale, probabilmente irripetibile, mentre il patto repubblicano ha avuto una valenza costituente nell'ordinamento statale.
E' questo il motivo per cui lo scrittore polacco nei suoi scrìtti "spezza" molte "lance" a favore dell' introduzione del salario minimo garantito per il suo carattere fondante dell' assetto repubblicano nell'attuale economia dell'incertezza.
La "maggioranza soddisfatta" ha "dato un calcio alla scala senza la quale salire fino a quel punto sarebbe stato avventuroso se non proprio impossibili" e ha rotto "l'alleanza trasversale" sostituendo "il principio di assicurazione collettiva come diritto universale del cittadino " con "il marchio" dell' "assistenza diretta" delle persone non abbienti.
Mentre il liberismo era sceso dal "treno repubblicano" alla stazione nota come “laissez-faire ", con il neoliberismo "sentimenti patriottici vengono ceduti alle forze del mercato " per sanzionare il definitivo divorzio dello Stato dalla Nazione.
Il postfordismo ha reso irrealistica una riorganizzazione dell'ordine sociale su base di classe: "in tempi di deregolamentazione[...] “sussidiarietà”, disimpegno manageriale, graduale eliminazione delle “fabbriche fordiste”, “nuova flessibilità' dei modelli di assunzione e delle procedure lavorative, e graduale, ma inesorabile,[...] smantellamento degli strumenti di protezione e autodifesa del lavoro [...] i lavori dipendenti si sono ritrovati a vivere [...] prospettive di impiego [...] confinati a singoli progetti" e si sono formate "persone che desiderebbero un presente diverso per ciascuno, piuttosto che pensare un futuro migliore per tutti."
La liquefazione delle strutture e delle istituzioni sociali e la sconfitta del "patto repubblicano " si sono aggiunte alla crescita del potere degli organismi economici internazionali, finendo per erodere la sovranità degli Stati Nazionali e facilitare nazionalismi di ritorno, spinte xenofobe, regressioni fondamentaliste e chiusure localistiche.".
Lo slogan “pensa globalmente, agisci localmente” è improprio, forse addirittura dannoso.
Non esistono soluzioni locali a problemi globali.[...].Le incontrollate e distruttive forze globali prosperano sulla frammentazione dello scenario politico e sullo spezzettamento di una politica potenzialmente globale in un insieme di egoismi locali perennemente in lotta".
Solo nuove forme istituzionali, in corso di formazione, possono "innalzare la nostra identità a livello planetario, a livello dell'umanità e vincere la sfida lanciata dai "nuovi barbari".
Uno dei maggiori sociologi viventi, polacco di nascita e inglese d'adozione, Zygmunt Bauman, affida ad un'intervista di poche pagine, in formato tascabile - " Intervista sull'identità " a cura di Benedetto Vecchi, (Editori Laterza, Euro 10) - alcune riflessioni che costituiscono un "distillato" delle sue numerose pubblicazioni tratte dall'osservazione delle condizioni contemporanee prodotte dalla "liquefazione" delle forme sociali e dei legami collettivi.
La modernità aveva raccolto la sfida prometeica imponendo un' accelerazione tramite un processo continuo di "modernizzazione" che può essere definito come "il cambiamento compulsivo e ossessivo che nasce dal desiderio di modificare ciò che sei e ciò che ti sta attorno”. Univoci "segnali di direzione” avevano immesso l'umanità nel "circuito del progresso" che assicurava una crescita costante e senza limiti.
Ciò aveva permesso all'uomo moderno di acquisire "volume" scoprendo - come dice Totaro - " una molteplicità di dimensioni, in lunghezza in larghezza e in profondità [...] [poiché] la persona non è punto, è volume".
L'uomo che vive nella storia ha bisogno di profondità, per scorgere la strada da percorrere, di altezza per poter ampliare il proprio orizzonte, ma sopratutto di larghezza per instaurare un rapporto di affinità (e non di semplice dominio o dipendenza) con la natura e di solidarietà verso le persone che incontra lungo il cammino.
Bauman cerca le ragioni che, nella tarda modernità, hanno modificato i paradigmi di riferimento di questo percorso. Cerca le ragioni che hanno prodotto la perdita dei "segnali di direzione" e scopre che il progetto di vita postmoderno non è un puzzle, in cui si possono incastonare i pezzi per comporre un disegno predefinito, ma solo un bricolage in cui il disegno è in funzione dei pezzi disponibili.
La "locomotiva" del progresso ha continuato la sua corsa "compulsiva e ossessiva " senza alcun progetto sulla meta da raggiungere e sulle " stazioni " da toccare, condizionata unicamente dalla quantità di "carburante" disponibile che “I' altoforno" dello "sviluppo" richiede nella sua famelica voracità.
In questo nuovo corso le persone hanno perso di peso e di "volume", fino ad essere trasformate in realtà puntuali, "puntinite", in un mondo che ha ridotto lo spazio a " villaggio globale" e il tempo a un buco nero che trattiene la luce sul presente senza permettere di irradiare il passato ed affacciarsi sul futuro.
Gli effetti distorsivi spazio-temporali della società dell'informazione hanno disancorato le scelte di vita delle persone dal controllo sensoriale sull'ambiente (visivo, uditivo, olfattivo e tattile), e oscurata la memoria condivisa, legata al proprio territorio.
La "vicinanza" ottenuta dal "clic " del mouse ha provocato l'insicurezza e la deresponsabilizzazione proprie del "controllo a distanza" e prodotto le nuove gerarchie di potere legate al diverso grado di mobilità "virtuale " presente nel cyber-spazio.
La finanziarizzazione ha reso volatili le solide certezze dei beni materiali trasformando i rischi propri dell'attività economica in crisi di panico.
La deterritorializzazione delle aziende hat permesso di arricchire le cinture dei "tagliatori di teste" con "scalpi " che, per qualità e quantità, erano impensabili in epoche precedenti.
Nuove oligarchie hanno spostato i centri decisionali su "corridoi" alternativi e paralleli ai luoghi tradizionali della politica ottenendo il restringimento degli spazi collettivi.
Tutto ciò ha reso viscido il terreno, insicuri i puntelli e infide le certezze che reggevano i percorsi di vita individuali.
Questo viaggio intorno alla "mela" bacata del mondo globalizzato prende le mosse da una riflessione sulla identità poiché è questo il terreno su cui il "verme" ha scavato gallerie, nelle quali si sono condensate e agglutinate le mille contraddizioni dell'uomo contemporaneo.
L' identità va "inventata piuttosto che scoperta” e rimane in "uno stato di perenne provvisorietà". Essa nello stesso tempo aspira alla formazione della "memeté" che richiede "coerenza e continuità”.
Ha nel suo armamentario una "lama bifronte”: un fronte è rivolto alla difesa della singolarità contro "la pressione collettiva", che cerca l'assimilazione, mentre l'altro è curvato sul proprio interno e tende a smussare e a reprimere le differenze.
E' la "croce e delizia” del nostro tempo che vive l'ambivalenza, nella sfera individuale con insofferenza per l'inclusione e il terrore dell'esclusione , nella partecipazione alla comunità nella quale vede la difesa e le sicurezze derivanti dall'appartenenza ma anche la "croce" del vincolo e della costanza.
Si preferiscono, pertanto, le "comunità-guardaroba”, che assicurano vita breve e impegno limitato. Del resto I' identità del cittadino globale è un "vestito da indossare" che segue il ciclo del consumo (acquisto, utilizzo e dismissione); la ricchezza del guardaroba, da cui si traggono e si scelgono le identità, è un "fattore di stratificazione sociale".
II possesso di un solo abbigliamento "condanna " il malcapitato a portare lo "stigma" imposto dagli altri, mentre la sua completa mancanza produce la "nudità" della "sottoclasse" (sans papìer) in cui si vive dell'assenza dei diritti nel "limbo" creato per i cittadini "mai nati".
GIi strumenti elettronici sono i più adatti a sviluppare le "torsioni" e gli "oscuramenti " dei contatti sociali brevi, inodori e insapori, del tipo "usa e getta", con i quali i consumatori globali sopperiscono alla mancanza del sistema di prestazioni che "le reti reali di parentela, amicizia e fratellanza offrivano.
L' amicizia - "archetipo della relazione sociale per scelta" - e le relazioni amorose rimangono sotto lo scacco dell'ambivalenza, tra I' "ansia da rigetto " e I' angoscia da soffocamento, in un mondo che ha "sminuzzato" le grandi questioni lasciando in sospeso i grandi perché, che nascono dal " cuore " stesso della modernità.
In un mondo rarefatto, in cui il "virtuale" si sovrappone al "reale", la difesa della fisicità e dell'espressività del corpo hanno il sapore dell' " ultima trincea " sulla quale investire la tutela della propria identità.
L'industria dell'immagine ha capito questo bisogno e questa fragilità e ha creato il " lago " delle effigi e dei manichini sul quale far rispecchiare, come Narciso, l'io insicuro e fortemente polimorfo della tardomodernità per ammirare il proprio simulacro.
Cosa ha prodotto lo sfilacciamento dell'identità? Per rispondere alla domanda "chi sono io?" devo far riferimento a legami stabili che connettono l'io ad altre persone in un contesto sociale "strutturato dalla affidabilità e durata delle istituzioni e dalla fiducia nella vita collettiva”.
L'attuale processo di modernizzazione "rimescola gli individui mandando in rovina le loro identità sociali”.
Le forze della globalizzazione premono perché lo Stato non abbia più il potere o la volontà " per mantenere inespugnabile il suo matrimonio con la società". Lo Stato moderno aveva contratto un "matrimonio d'interesse" con la Nazione, per acquisire un "diritto di sangue" e un "patrimonio culturale" che il solo potere d'imperio sul territorio non gli poteva assicurare.
Nel far ciò aveva strutturato un contesto sociale e istituzionale, all'interno dello Stato-nazione, che facilitava la formazione di un'identità collettiva che tendeva al controllo, se non al monopolio, degli enti intermedi.
Bauman sposa la "teoria della nazione immaginaria” poiché egli pensa che le nazioni fanno parte delle comunità (secondo la formula di Siegfried Kracauer) "saldate insieme unicamente da idee o vari principii".
La loro nascita non è scritta sulla roccia o nelle leggi naturali ma discende da progetti e da "utopie" di gruppi più o meno allargati.
"L’ idea [...] d'identità nazionale [...] non è un parto "naturale" dell'esperienza umana, non emerge da questa esperienza come un lapalissiano "fatto concreto". E' un' idea introdotta a forza [...] e arrivata come una finzione "[...].L'identità' nata come finzione aveva bisogno di un gran dispiegamento di coercizione e di convincimento per irrobustirsi e coagularsi in una realtà
La variabilità dei soggetti promotori (monarchi, élites politico-culturali, popoli) e dei disegni ( risorgimentale, imperiale, di liberazione, di grande potenza, ecc.) ha diversificato i percorsi che possono essere identificati nel nazionalismo, nel repubblicanesimo e nel liberismo.
Da questa ricca varietà di approcci è nata la scelta dei vari "collanti " con i quali si è perseguita e gestita l'unità nazionale.
Il nazionalismo ha firmato "una cambiale in bianco" sposando la tesi della "teoria della nazione reale" che ritiene la patria "una comunità di vita e destino i cui membri vivono insieme in un attaccamento indissolubile".
II pensiero repubblicano ha considerato - secondo le parole di Renan - la nazione un plebiscito di tutti i giorni. Ha elevato a stella polare il bene comune, ottenuto mettendo la libertà individuale a servizio della ricerca collettiva.
La coesione repubblicana ha richiesto un patto che riconoscesse nei diritti universali il legame tra lo Stato e la società civile.
Il "patto repubblicano" ha coperto inoltre I' esigenza di assicurare a tutti i cittadini le risorse minime e il quadro istituzionale - istruzione pubblica, giustizia, sicurezza - per svolgere i doveri civici. Il "compromesso sociale", che era stata la risposta politica moderata al "faremo come in Russia", aveva allargato le assicurazioni sociali del Welfare State.
I due "patti", quello sociale e quello repubblicano, hanno avuto significati e ancoraggi diversi.
Quello sociale era legato a una congiuntura storica particolare - la centralità del lavoro - e come tale, probabilmente irripetibile, mentre il patto repubblicano ha avuto una valenza costituente nell'ordinamento statale.
E' questo il motivo per cui lo scrittore polacco nei suoi scrìtti "spezza" molte "lance" a favore dell' introduzione del salario minimo garantito per il suo carattere fondante dell' assetto repubblicano nell'attuale economia dell'incertezza.
La "maggioranza soddisfatta" ha "dato un calcio alla scala senza la quale salire fino a quel punto sarebbe stato avventuroso se non proprio impossibili" e ha rotto "l'alleanza trasversale" sostituendo "il principio di assicurazione collettiva come diritto universale del cittadino " con "il marchio" dell' "assistenza diretta" delle persone non abbienti.
Mentre il liberismo era sceso dal "treno repubblicano" alla stazione nota come “laissez-faire ", con il neoliberismo "sentimenti patriottici vengono ceduti alle forze del mercato " per sanzionare il definitivo divorzio dello Stato dalla Nazione.
Il postfordismo ha reso irrealistica una riorganizzazione dell'ordine sociale su base di classe: "in tempi di deregolamentazione[...] “sussidiarietà”, disimpegno manageriale, graduale eliminazione delle “fabbriche fordiste”, “nuova flessibilità' dei modelli di assunzione e delle procedure lavorative, e graduale, ma inesorabile,[...] smantellamento degli strumenti di protezione e autodifesa del lavoro [...] i lavori dipendenti si sono ritrovati a vivere [...] prospettive di impiego [...] confinati a singoli progetti" e si sono formate "persone che desiderebbero un presente diverso per ciascuno, piuttosto che pensare un futuro migliore per tutti."
La liquefazione delle strutture e delle istituzioni sociali e la sconfitta del "patto repubblicano " si sono aggiunte alla crescita del potere degli organismi economici internazionali, finendo per erodere la sovranità degli Stati Nazionali e facilitare nazionalismi di ritorno, spinte xenofobe, regressioni fondamentaliste e chiusure localistiche.".
Lo slogan “pensa globalmente, agisci localmente” è improprio, forse addirittura dannoso.
Non esistono soluzioni locali a problemi globali.[...].Le incontrollate e distruttive forze globali prosperano sulla frammentazione dello scenario politico e sullo spezzettamento di una politica potenzialmente globale in un insieme di egoismi locali perennemente in lotta".
Solo nuove forme istituzionali, in corso di formazione, possono "innalzare la nostra identità a livello planetario, a livello dell'umanità e vincere la sfida lanciata dai "nuovi barbari".
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