Legale, non morale.
Leggo infatti oggi in un editoriale di Italia laica – Laicità principio supremo dell’ordinamento costituzionale – della necessità dell’insegnamento obbligatorio della “morale laica” nella scuola di Stato, un insegnamento che offra un sicuro orientamento morale fondato su un’etica universale del rispetto e dell’eguaglianza.
Sarà perché la penso come Max Stirner, ma francamente mi sembra molto pretesco invocare la morale ogni volta che si intende dare una connotazione pratica alla laicità. E di converso molto poco laico. Prima di tutto perché non viene chiarito che cosa si intende per rispetto e per eguaglianza – laico vuol dire anche chiaro – in secondo luogo perché parlare di “obbligatorietà” dell’insegnamento della morale contraddice alla stessa essenza del laico, che non prevede niente di obbligatorio se non ciò che è tale per legge.
Non per obbligo morale, quindi, che in tal caso non si capisce che cosa con questo imperativo universale e astratto si pretende dall’uomo. Se una cosa è consentita dalla legge non si comprende perché debba esserci un secondo arbitrario grado di giudizio, dal momento che “frustra fit per plura quod fieri potest per pauciora”.
Se non si accetta la morale cristiana per il tasso di ipocrisia che la contraddistingue – ad esempio non commettere atti impuri – perché si dovrebbe accettare quella laica?
Che alla fin fine, secondo quanto leggo di continuo, non è meno ipocrita dell’altra, visto che al tirar delle somme si traduce in un unico comandamento: non pensare a te stesso, non fare affari.
La morale è esattamente questo, mi par di aver capito, che mentre il peccato dei peccati per i preti cattolici è quello sessuale, per i “preti laici” è quello economico, per il quale mentre per un affarista in disgrazia si invoca la galera a vita per un assassino non di rado si invoca tutta la comprensione di questo modo, ogni sua colpa essendo il portato della prevaricazione sociale e della diseguaglianza economica.
Bisogna allora riaffermare con decisione che il laico in quanto tale non riconosce il “sacro” che domina tutte le visioni del mondo. Infine, e tornando all’inizio, credo non si sia sufficientemente laici se si intende sostituire una morale con un’altra morale, un dio con un altro dio, una buona coscienza con un’altra buona coscienza.
Laico vuol dire che non deve esserci più nessun dio, chiamasi esso morale, eguaglianza, patria, nazione, partito e altre innumerevoli astruserie del genere. Predicare la filantropia in quanto empatia verso il proprio simile si può e anzi si deve, ma la morale – quali sono i suoi precetti? – che al contrario della filantropia non potrebbe mai essere universale, va insegnata in famiglia in quanto regola di vita.
Temere che la morale “di stato” – quella che si vorrebbe insegnare al scuola, per intenderci – potrebbe sovrapporsi a quella familiare è un falso problema, perché a livello universale non può essere predicata nessuna morale. Infine, visto che nell’editoriale si parla di “Costituzione”, sapreste dirmi che vuol dire che “l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro” se non che il lavoro è il “sacro” e chi predica in suo nome è il “santo”?
O forse si vuol soltanto porre una distinzione rispetto alle repubbliche fondate sull’ozio.