La nostra lotta, il nostro futuro.
n paese in rivolta”, è così che Guglielmo Epifani
esordisce nel suo intervento davanti ad un milione di persone. Ed è proprio un milione di persone che si ritrova
in piazza: insegnanti e alunni, genitori e figli, politici e non.
E’ tutta la società civile, il popolo, rappresentato in ciascuna delle sue componenti, che cavalca l’Onda e si
oppone con forza ad una legge (il decreto Gelmini) che, senza alcun progetto preciso ed in maniera indiscriminata,
tenta di addormentare le coscienze, minando alla base un sapere libero e plurale, che salvaguarda e contribuisce
alla democraticità di un paese.
Soltanto delle teste pensanti, che riescono a porsi delle domande, attivando meccanismi d’interpretazione della
realtà, possono portare avanti un progetto che guardi al futuro con ottimismo e con l’obiettivo di realizzare un
modello d’istruzione a cui tutti abbiano la possibilità di accedere senza differenze di classe, di etnia e di
cultura.
Una piazza, quella della capitale, che nella diversità e nei suoi distinguo, chiede unita al governo un necessario
e doveroso confronto. E nella stesura di un tale disegno, relativo ad una riforma che sia davvero democratica,
è doveroso ascoltare le esigenze di chi la scuola la vive e la fa vivere.
E proprio perché la base del sapere siamo noi, noi di Piazza del Popolo e piazza della Repubblica, ma anche tutti
gli altri che si sono riuniti in corteo a Milano, a Genova, a Bologna e in tutte le altre città d’Italia, abbiamo
il diritto di essere ascoltati e vogliamo far sentire la nostra voce il più possibile, senza strumentalizzazioni
politiche e ideologiche.
Siamo un movimento nuovo che parte dal basso, che parte da chi studia per realizzare i propri sogni, da chi spende
il proprio tempo per un futuro migliore, da chi lotta per tutelare il diritto della libertà di pensiero,
contrastando il tentativo di ottundimento della menti a partire dall'azione dei mezzi di comunicazione di massa.
E siamo un movimento pacifico e unito, senza alcuna divisione, perché ciò che ci lega non è un partito né un simbolo,
ma è l’idea e la speranza di una possibilità d' esistenza migliore, dove il precariato sia solo un ricordo lontano,
dove sia garantito il principio di uguaglianza (altro che classi ponte), dove professori e ricercatori possano
svolgere il proprio lavoro orgogliosi di farlo qui, senza essere costretti a rifugiarsi all’estero a causa
della mancanza di finanziamenti, dove a tutti gli studenti sia garantito il diritto allo studio attraverso
adeguati finanziamenti, dove venga premiato il merito, dove chi spende energie in un progetto debba veder
valorizzati e gratificati i propri sforzi.
L'Italia che deve costruire il futuro siamo noi. Se non si investe nel sapere non si avranno mai gli strumenti
per riformare questo paese, per creare un nuovo modo di pensare, più libero e egualitario, dove confronto e
dibattito possano essere i baluardi della democrazia, dove l’interazione tra culture diverse sia il punto di
partenza per uno sviluppo, che arrivi ad interessare il pianeta, legato a logiche davvero meno economiche e
molto più sociali.
Noi che eravamo in piazza vogliamo scommettere sul nostro futuro e lo chiediamo a gran voce.
E nessuno riuscirà a tapparci la bocca, nemmeno dopo gli eventi di venerdì scorso accaduti a Piazza Navona. La scuola siamo noi, il sapere è nelle nostre mani.
Vogliamo farci sentire, e questo è solo l’inizio. Il 14 Novembre saremo di nuovo in piazza, tutti insieme, uniti, non violenti, per un’istruzione pubblica, libera e di tutti.