Il Capannone Nervi.

| di Elvira VANNINI | inserito il 09/03/2009 | Stampa


l Padiglione ex-Montedison, connota da sempre il paesaggio costiero di Porto Recanati. Ma più che un simbolo del modernismo architettonico, oggi il Capannone Nervi è uno scheletro abbandonato, sommerso da detriti, circondato dalla crescente speculazione edilizia e prossimo alla cementificazione dell’intera area: quel che resta di un edificio di archeologia industriale è una desolante rovina dismessa, abbandonata al totale degrado e alle intemperie che finirà presto con l’essere distrutta.
E nel paese dei tagli alla ricerca e alla scuola, delle inesistenti politiche di valorizzazione e di sostegno dell’architettura e dell’arte contemporanea sembrerebbe il problema minore.
Il supervincolo della Sovrintendenza ai Beni Paesaggistici, dal Conero fino al Musone, Montedison compresa - ossia un vincolo diretto sull'immobile e uno indiretto a nord del capannone che impedisce ogni intervento, ha bloccato, ancora per poco, buona parte del disegno espansionistico della lottizzazione ZEUS.

Il Capannone Nervi è ora un luogo dimenticato, un’area residuale scomparsa dalle mappe, un vero e proprio buco nella geografia urbana, che assume valore non solo per la memoria che veicola, di fabbrica fordista nella storia dell’economia locale, ma per le potenzialità e le possibilità che potrebbe attivare in futuro, come luogo espositivo, museo del mare, riallestimento delle collezioni archeologiche, spazio per ospitare congressi, convegni, o manifestazioni di carattere culturale. In attesa di un progetto di conversione, che forse non arriverà mai.
E’ innegabile il valore documentario della struttura ma si discute sulla sua autenticità. Pier Luigi Nervi è stato uno dei massimi rappresentanti della cultura costruttiva del Novecento.
La sua opera ingegneristica e architettonica, insieme all’attività del suo studio, ha lasciato segni inconfutabili nel paesaggio urbano italiano.
Nel Padiglione Venezia della penultima Biennale di architettura la sezione “Focus Nervi” esibiva i materiali provenienti dal fondo documentario sull’ingegnere italiano conservato nelle collezioni del MAXXI (ossia il nuovo Museo nazionale delle arti del XXI secolo in costruzione a Roma) che lo ha recentemente acquisito.
Per giustificare la distruzione dell’ex-Montedison, ci si appella alla sua non autenticità, pare che il Capannone non sia stato costruito da Nervi in persona. Si discute sull’autorialità del progetto giustificando un abuso da parte dell’amministrazione che cancellando la memoria storica e collettiva dell’edificio permette che si trasformi discarica abusiva, lasciando che la speculazione edilizia si impadronisca non solo dell’intero sito, ma anche dell’immaginario, la memoria, la percezione della struttura architettonica.

Pierluigi Nervi aveva fondato uno studio d’ingegneria e un’impresa di costruzioni, con una progettualità dinamica e un marchio di successo. Durante la sua lunga attività ha brevettato numerose tipologie edilizie che sono diventati dei veri e prototipi di padiglioni industriali. In Italia esistono altri hangar che hanno una conformazione costruttiva analoga. .
A parte che nell’arte contemporanea, dalle avanguardie storiche ad oggi, è irrilevante che l'artista abbia realizzato manualmente l'opera, lo stesso ready-made di Duchamp era un oggetto banale, prelevato dal quotidiano, decontestualizzato e defunzionalizzato, che assumeva valore estetico perché era l’artista a individuarlo come tale; a parte che le carenze nella formazione scolastica ignorano le dinamiche più attuali della ricerca culturale e non solo artistica contemporanea, a parte il Ministro dei Beni Culturali Bondi che va in TV a presentare l’ultima acquisizione del Crocifisso giovanile di Michelangelo ma riorganizza il Ministero e prevede, tra le altre preoccupanti direttive, l'abolizione della PARC - Direzione Generale per la qualità e la tutela del paesaggio, l’architettura e l’arte contemporanee: in Italia non è però solo l’esiguità dei budget a rivelare il preoccupante disinteresse che la politica rivolge al settore dell’arte, soprattutto contemporanea.
Anche la vacanza delle direzioni scientifiche di ben sette musei è sintomatico di questa situazione, di incarichi che non avverranno mai attraverso un concorso per titoli e per progetti come consuetudine internazionale, ma per le nomine degli assessori. E visto il clima di reazione generale non c’è da sperare per il meglio: l’Italia è all’ultimo posto nelle strategie di sostegno, promozione e valorizzazione dell’arte contemporanea e nelle ultime manifestazioni internazionali l’inesistente rappresentanza di artisti italiani, testimonia una fragilità strutturale che insieme allo stato della ricerca universitaria nel nostro paese sarà impossibile risanare.


Ma ritornando al Capannone Nervi se prendessimo come esempio un oggetto di design, cosa significa che una caffettiera Alessi non è un oggetto d’autore, firmato Alessandro Mendini, tanto per fare un esempio, perchè l’architetto che l’ha disegnato, pensato e progettato, non sarebbe l’autore in quanto non l’avrebbe realizzato di persona e manualmente? La verità è che quanti vorrebbero distruggere l'edificio argomentandolo come non autografo, mascherano, col pretesto del mancato valore culturale, la cementificazione indiscriminata, lo sfruttamento, la lottizzazione, la speculazione edilizia, l’interesse privato e il disinteresse della pubblica amministrazione.
Rispetto all'attuale stato di abbandono ci sono precise responsabilità che hanno già compromesso l'area intorno alla costruzione ad opera di un impresa edile privata che avrebbe forti interessi economici a far demolire un manufatto di archeologia industriale, patrimonio collettivo culturale, oggetto di studio e simbolo di un paesaggio affettivo della città.
Quali potrebbero essere i possibili riusi del Capannone Nervi?
La strategia del recupero di edifici industriali è una pratica molto diffusa: la riconversione di spazi abbandonati permette la germinazione di idee che programmaticamente investono sul territorio. “La poetica del riuso” è fatta di stratificazioni: il recupero di uno spazio ne assicura la rigenerazione, pur ammettendo lo stretto legame col passato e la memoria storica, civica e sociale. .
Un acceso dibattito tra gli anni Ottanta e Novanta ha avuto come tema l’interazione tra arte contemporanea e spazi pubblici, al di fuori dei circuiti espositivi tradizionali di musei e gallerie. In molti casi la public art - che si è configurata come fenomeno soprattutto europeo - è stata utilizzata dalle istituzioni pubbliche e dalle municipalità cittadine nelle opere di riqualificazione architettonica di aree metropolitane degradate, e il più delle volte zone industriali che da tempo avevano esaurito la loro funzione produttiva.

Questo fenomeno ha interessato capitali europee come Parigi, Londra, Berlino, e in generale tutte quelle città che hanno conosciuto gli effetti della rivoluzione industriale. .
A testimonianza di un’epoca storica fin troppo vicina sono rimasti edifici ingombranti o ferrosi scheletri architettonici progressivamente inglobati dai processi di espansione del territorio-città. Fino al punto che le zone industriali che un tempo cingevano il centro cittadino, secondo uno sperimentato modello urbanistico, hanno dismesso il ruolo di periferia per connettersi alle aree centrali.
Parallelamente si è sviluppata la tendenza a riutilizzare i manufatti di archeologia industriale come sedi per esposizioni temporanee di arte contemporanea ed eventi collaterali che hanno trasformato le antiche fabbriche in veri e propri contenitori culturali.
Negli ultimi anni alcune tra le più importanti istituzioni museali internazionali sono sorte proprio all’interno di vecchie fabbriche in disuso - esempio paradigmatico la Tate Modern di Londra è ospitata in un’ex-centrale termoelettrica - avvalorando la tesi che il museo tradizionale, di concezione ottocentesca, abbia esaurito il ruolo di deposito unico di opere d’arte.
Molte recenti manifestazioni internazionali negli ultimi anni hanno scelto capannoni industriali, vecchie fabbriche, depositi di ogni genere per ospitare le numerose installazioni e opere d’arte ambientale, altrimenti irrealizzabili.

Vorrei ricevere una risposta dall’amministrazione comunale e dagli attuali assessori all’urbanistica e alla cultura sul perché non sia possibile pensare a una diversa sorte dell’area ex-Montedison. Sul perché il Capannone Nervi non possa essere risanato e riconvertito nella sua funzionalità. Non potrebbe diventare il Museo del Mare, trasparente, interamente vetrato e accessibile alla cittadinanza? O una struttura espositiva per il riallestimento delle collezioni archeologiche? O uno spazio attivo che possa inserirsi in un network più generale e in un laboratorio di idee? .
Ci sono dei processi di trasformazione sociale e storica a cui corrispondono nuove forme specifiche assunte dall’arte: collettivi, autorialità multipla, pratiche del dialogo, osservazione del territorio, soggettività politica, diverse strategie di definizione dello spazio pubblico.
Queste nuove pratiche artistiche non sono appannaggio di pochi fruitori elitari e privilegiati, ma legittimate da manifestazioni internazionali su scala globale, tra cui la Biennale di Venezia per fare un esempio italiano, sono una forma espressiva della cultura del nostro tempo.
Ma a Porto Recanati, un paese che ammette come unica forma di attività artistica l’esposizione a scopo di lucro, ossia finalizzata alla vendita di opere mediocri dei “pittori della domenica” per indicare in modo derisorio gli artisti dilettanti, come può rispondere all'emergenza di nuovi formati culturali interdisciplinari?

L’ultimo rapporto della PrincewaterhouseCoopers - che è una società che conduce ricerche di mercato - sullo stato economico dell'arte e sullo scenario macro-economico europeo, ha rivelato una disamina allarmante sullo stato della cultura nel nostro Paese. Ma già lo sapevamo: in Italia, la cultura non è considerata una risorsa, e si ignora che l’arte, e anche l’arte contemporanea, siano un’attività produttiva e come tale debbano essere sostenute.
Forse dovrebbero essere rivisti i meccanismi che permettono a un territorio di svilupparsi. .
Per fare un altro esempio, il modello del “DISTRETTO CULTURALE EVOLUTO” già applicato in alcune province italiane, è un nuovo modo di ragionare su come la cultura possa aiutare un territorio a crescere anche da un punto di vista sociale ed economico.


La cultura non è uno dei tanti usi del tempo libero o un elemento del turismo locale (aspetto peraltro ignorato), questo è uno sguardo limitato che non genera dinamiche positive. In tante situazioni internazionali e in termini più ampi si sta capendo con grande rapidità che la cultura ha un ruolo fondamentale perché si possano produrre nuove conoscenze nel territorio, diventare innovativo e capace di assimilare creativamente la diversità: noi crediamo che la cultura possa diventare un modello di esperienza che permetta alle persone di confrontarsi e sviluppare modelli mentali, attitudini comportamentali, possibilità di sviluppi immediati facendo crescere i mercati culturali.
La comunità europea alla fine dello scorso anno ha diffuso uno studio sull’impatto economico dei mercati culturali in Europa ed ecco cosa ne è emerso: il settore culturale e creativo in Europa è grande 2 volte di più del settore automobilistico. Questi dati dovrebbero far riflettere.

Rivolgo all’amministrazione una precisa domanda: perché non pensare a una strategia di riattivazione del Capannone Nervi, di conversione e riuso temporaneo?
Alcuni esempi di ambienti simili sono la Stazione Leopolda di Firenze, le Corderie dell'Arsenale di Venezia, l'Hangar Bicocca di Milano, il Palais de Tokyo di Parigi, ovviamente con alcuni distinguo nell'assimilarli, in cui l'operazione di riposizionamento mette a disposizione uno scenario spaziale poco finito, trattato con discontinuità, pronto per continue metamorfosi e sempre nuovi allestimenti a ogni manifestazione, conferendo nuove immagini e forme allo spazio in funzione di un nuovi eventi. E nonostante questo continuo processo di adattamento e mutevolezza, l'edificio è sempre più riconoscibile.
Questi ambienti “a bassa definizione” diventano per le loro caratteristiche – spazi informali, diffusi, adattabili – una nuova risorsa offerta a chi definisce le politiche, gestisce e promuove la ricchezza di un territorio.
Perché non auspicare progetti innovativi nello scenario della città e del territorio, che non siano la darsena privata ma uno spazio per la collettività?
Perché non riposizionare, riconoscendone la potenzialità d'uso, un edificio ormai dimenticato, trascurato, scomparso dalle mappe.
Una costruzione in agonia, che attende di essere demolita, inattiva, un tempo utilizzata e oggi senza senso e orientamento in attesa di nuovi usi e identità, che invece potrebbe, già nel riconoscimento del proprio valore autoriale, inserirsi nelle dinamiche contemporanee come spazio possibile per l'arte e la cultura.



Elvira Vannini
Storico dell'arte, critico e curatore indipendente.
Attualmente svolge un Dottorato di Ricerca in Storia dell'Arte e collabora con il Dipartimento Arti Visive dell'Università degli studi Bologna. Intervento già pubblicato sul bollettino «Portorecanati news»;

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