Un paradosso apparente.

| di Aurelio BUFALARI | inserito il Marzo 2008 | Stampa


uando si dice il calcio all’italiana, si intende l’applicazione del principio”primo, non prenderle”, cioè prima la difesa e poi l’attacco. La qual cosa potrebbe apparire paradossale rispetto alla diffusa mentalità italica – ma portorecanatese soprattutto – del “diglielo tu puttana prima che lo dica a te”. Il detto nostrano è la semplificazione che l’arguzia popolare ha fatto del primo degli assiomi dell’impostura: fac et excusa (prima fa e poi eventualmente chiedi scusa).
Dove quel chiedere scusa postumo potrebbe sembrare una sorta di resipiscenza se non fosse un espediente ulteriore per disinnescare supposte repliche o ritorsioni. Intanto dì pure ciò che ti preme dire, senza preoccuparti dell’eventuale offesa arrecata.
A chiedere scusa si fa sempre in tempo, ammesso che convenga. In caso contrario si può sempre ricorrere al secondo assioma dell’impostura: si fecisti, nega (negare anche l’evidenza). Ad ogni modo, l’offeso tenterà sempre una reazione, che, nel mio caso, segue il metodo fatto proprio dallo sport nazionale: mi difenderò innanzitutto.

Su alcune bacheche di partito e del gruppo consiliare del centro sinistra unito, sono apparsi attacchi alla mia persona, motivati dalla mia supposta faziosità nel riferire certi eventi accaduti durante e dopo l’incontro di alcuni manifestanti contro lo scivolo di via Pietro Micca con alcuni amministratori, tra i quali il sindaco.
La perla di tanta letteratura d’assalto è stata quella apparsa sul quadro murale di un partito dell’opposizione, dove si diceva che il “nostro”, cioè io, sensibile com’è alle ragioni dell’amministrazione, aveva pubblicato una intervista all’assessore Ubaldi, mirante a depotenziare le ragioni dei manifestanti. E tanto sembrava confermato questo sospetto in quanto l’articolo era stato pubblicato il giorno stesso della manifestazione.
Tralascio di riportare i commenti a seguire dell’estensore dello scritto perché voglio essere, come credo di essere, ancora galantuomo.

Difesa, dunque. Quella intervista in effetti c’era stata ed era stata pubblicata quel giorno, ma non sul mio giornale bensì sul Resto del Carlino. Ciò vuol dire che non l’ho fatta io e che pertanto anche l’accusa di complotto sarebbe dovuta cadere. Ma il “j’accuse” poteva restare ancora al suo posto: sarebbe bastato cambiare il nome del destinatario.
Il tutto è sembrato talmente squallido che il segretario di quel partito – una persona per bene – appena resosi conto della enormità della gaffe ed anche perché veniva tirata in ballo la mia vita privata, ha immediatamente disposto la rimozione dello scritto, il cui estensore si è sempre ben guardato dal raccontare che il sottoscritto, cioè io, un giorno fu sensibile anche alle sue ragioni.

Dicevo che anche sulla bacheca del gruppo consiliare di minoranza appare un attacco alla mia persona, accusata di aver riportato i fatti sopra citati in modo fazioso e disinformato, ancora una volta per mettere in cattiva luce gli organizzatori, visto che il sottoscritto, cioè io, non era presente all’evento. Di nuovo, è vero!
Ma il fatto è che il sottoscritto, cioè io, non ha scritto una sola parola sulla manifestazione durante il suo svolgersi, proprio perché non c’era – dicano piuttosto come mai altri c’erano. Ho riportato semplicemente ciò che è successo alla fina perché, purtroppo, l’ho vissuto in prima persona. Ad ogni modo, i fatti sono andati come li ho raccontati sul giornale, e non è vero che il cosiddetto fattaccio sia accaduto all’esterno del municipio, come afferma il manifesto del gruppo suddetto, perché le foto in mio possesso, tra cui quella pubblicata sul Corriere Adriatico, documentano l’esatto contrario.

Continuo a comportarmi da galantuomo e tralascio di puntare il dito contro chicchessia, nonostante il trattamento al quale sono stato sottoposto. Per quel che riguarda la faziosità, è esemplare che la fazione di un’altra fazione più grande – un gruppo politico è tale per definizione, e perciò eminentemente – si faccia interprete di quell’imperativo poco nobile col quale ho aperto questo mio sfogo: “diglielo tu… ecc. ecc.”.
Passo all’attacco. Si parla, nel foglio del centro sinistra unito, di un accodamento del gruppo – perché condivisa – all’iniziativa promossa dal quartiere Sammarì. Se questo è vero, perché ci si sostituisce ai promotori nel denunciare le presunte distorsioni giornalistiche dei fatti?
Qui il sospetto viene ribaltato. Ma non è questo che conta quanto il precisare che se c’è qualcuno che ha distorto i fatti e che è tacciabile di faziosità, quello non è di certo il sottoscritto, cioè io. E poi, gli Inglesi dicono che i galantuomini parlano delle cose e non delle persone. E a maggior ragione ciò dovrebbe valere quando le persone, che con essa non hanno niente a che vedere, vengono attaccate dalla politica, perché queste persone fanno semplicemente il proprio lavoro vivendo e lasciando vivere.
Non mi sono dimenticato del secondo assioma, che vorrei riformulare come segue:«Qui lo dico e qui lo nego».

Il famoso presente assente o, se si preferisce, assente presente, cioè colui che scaglia il sasso e nasconde la mano; che dice armiamoci e partite; che non c’era quando le cose vanno in un certo modo e che è pronto a saltare sul carro del vincitore, addirittura spodestandolo, quando le cose vanno invece per il verso auspicato. Qui mi fermo perché sento la tentazione di dover derogare dall’essere galantuomo.

Aurelio Bufalari

| inserito il Marzo 2008 | Stampa