Con i piedi nell’acqua e gli occhi all’orizzonte, vedo un mare rosso e calmo, un’alba che rende il cielo arancione. Dei gabbiani, che in quello spettacolo volano, si appoggiano talvolta sugli scogli e vengono bagnati dalle onde, che si abbattono su queste grandi e imponenti rocce. Altre onde, invece, arrivano sulla spiaggia e cercano, fallendo, di risalire la battigia, per poi ritirarsi.
Gli stessi gabbiani, che volano in picchiata verso il mare, e le stesse onde che, arrabbiate si scagliano sugli scogli, emettono un suono rilassante, che mi fa quasi addormentare. La sabbia soffice, che mi sfiora, e la calma brezza, che insieme al mare mi rinfresca, mi danno una sensazione sublime.
Qualcuno si siede a qualche metro di distanza da me: è un gabbiano che mangia i resti di un panino. Ad un certo punto emette un garrìto e dopo qualche secondo arrivano altri gabbiani: rimango a guardare finché non diventano così tanti, che sono costretto ad andarmene.
Passa la giornata tra le risate in famiglia e gli schizzi; e mi ricordo quando ero più piccolo e giocavo a lanciare la sabbia con mio cugino quando col grest andavo al parco acquatico. Così mi ritrovo nello stesso scenario, però questa volta l’aria è triste: è arrivata l’ora del tramonto.
L’acqua è grigia come il cielo scurito dalle nuvole; di gabbiani non ce ne sono più molti, perché sono quasi tutti nei loro nidi e il mare è più pericoloso e arrabbiato.
I suoni non sono più gli stessi: adesso i gabbiani non si sentono più, il mare emette un rumore più rabbioso, coperto dalla musica pop sparata a tutto volume dai ristoranti.
La brezza non è più calma, come il vento di questa mattina; è invece forte e quasi mi obbliga a mettermi una felpa. Anche la sabbia è diversa: non è più fine e delicata, ma è bagnata e molle, perché le onde riescono a superare la battigia.
È arrivata l’ora di tornare a casa, dove ormai sarà pronta la cena: devo andare.