Alle 4.55 eravamo già tutti in hall, pronti a partire.
La metro ci ha traghettati fino alla “Public Library” dove ad attenderci abbiamo trovato
decine di volontari che, molto gentilmente ma un po’ in stile SS, ci hanno immediatamente
imbarcato sul pullman. Lì dentro è stata consumata parte della colazione, mentre le prime
luci dell’alba offrivano uno spettacolo di New York più unico che raro.
Il ponte di Verrazzano, percorso al contrario, era già un assaggio del percorso.
Fort Wadsworth ci ha offerto i primi sostentamenti contro il freddo, poi ognuno ha raggiunto
l’area relativa al colore del proprio pettorale. Ci siamo divisi.
Il freddo rimaneva costantemente pungente, ma intanto iniziava a sentirsi il tepore dei primi
raggi del sole, che faceva capolino.
Terminata la colazione in un angolo di prato ci siamo
ritagliati il nostro spazio per cercare di riposare ancora un pò.
Alle 9 circa abbiamo depositato le borse sul camion ed abbiamo raggiunto la nostra griglia
di partenza, dove ho notato una massiccia presenza di italiani. Poco dopo ci hanno spostato
a pochi metri dalla linea di partenza. Stranamente mi sentivo già più rilassato, molto meno
nervoso del solito. L’inno americano ha anticipato l’inizio della battaglia, scandita da un
colpo di cannone. Partiti. Ero con pochi minuti di riscaldamento sulle gambe, ma nonostante
le accortezze prese prima dello sparo ho subito patito il freddo.
Ciononostante il primo miglio, seppur in salita e controvento, l’ho corso troppo velocemente.
L’emozione è stata subito forte nel vedere tre grandi serpentoni incrociarsi, ma soprattutto
Manhattan ed i suoi grattacieli campeggiare sullo sfondo. Sin dai primi chilometri si poteva
notare una insolita presenza di pubblico, ed al 3° miglio, primo ricongiungimento con gli altri
concorrenti, il dubbio è divenuto realtà in quanto, dopo una secca curva a destra, due ali di
folla scatenata ci hanno accolto nel cuore di Brooklin. Se prima ero emozionato, ora il doppio.
Il tutto ha contribuito ad andare ancora più forte: passaggio al 10° km 0:39:58.
Il giorno precedente avevo reperito una tabellina che portavo al polso con indicati i passaggi
al miglio per poter terminare in 2h50’, ed era già stata disattesa. Sono rimasto stranamente
tranquillo a gustarmi cosa succedeva ai lati del percorso, mentre con Marco si pensava di mollare
un po’ il ritmo per gestire un po’ meglio alla fine: Impossibile.
Continuavamo ad essere costantemente in anticipo, mentre il pubblico dava il meglio di sé: alcuni
suonavano, altri cercavano un 5, altri ancora attratti dal tricolore sulla canottiera gridavano
“Go Italia!!”. Ed intanto avevo la pelle sistematicamente accapponata.
I passaggi al 15° (0:59:54) ed al 20°km (1:19:46) sottolineavano una particolare freschezza
psicofisica, tanto da passare alla mezza in 1:24:05.
All’entusiasmo si opponevano le parole dei più esperti…”La seconda parte è più dura,
non farti trascinare dall’emozione…”… a parole è facile dirlo, ma è veramente dura frenarsi.
Pertanto un minimo di preoccupazione era presente nei pensieri: avevo paura di accusare
il colpo, nonostante mi sentissi particolarmente bene.
Qualche centinaia di metri tra vecchi fabbricati industriali dismessi erano il biglietto da
visita di Manhattan: Il Queensboro Bridge che, lungo un paio di chilometri, anticipava i
saliscendi della seconda parte della battaglia tanto temuti. La parte finale del ponte è
stata accompagnata da un boato, quello del pubblico sulla First Avenue.
Lì è iniziata la parte bella della gara. Le gambe andavano, il ritmo era costante, ed
iniziavo a mettermi alle spalle i primi morti, senza mai abbandonare la linea blu. Lungo
questo stradone a sei corsie il frastuono era assordante, e l’emozione saliva sempre più.
In un batter d’occhio e senza tanti problemi passo anche al 30°Km in anticipo sulla tabella di
marcia (1:59:44) ed ingenuamente inizio già a pensare all’arrivo.
Ma è latente il solito pensiero negativo…”la seconda parte è più dura…”…
Nonostante l’accumularsi dei chilometri continuo ad essere costante anche al 35° (2:20:06),
e subito dopo Harlem inizia la salita. Caricato dall’instancabile pubblico la affronto nel
migliore dei modi, forse anche aiutato dalla lucidità mentale e dall’ininterrotto recupero
di posizioni.
Arrivo nel cuore di Central Park, e stavolta le gambe iniziano ad accusare i saliscendi del
parco. La grinta e l’emozione compensano la fatica fisica. Tra le urla sento anche
“E’ Mirco…Vaiii!!!”.
Anche gli amici appostati fanno la loro parte, iniettandomi fiducia ed ulteriore grinta.
Mi butto giù in discesa cercando di fare girare le gambe senza inchiodarmi… Vai Italia! Go Grottini!
“Dai Mirchetto, tieni duro, è fatta…” mi ripeto. 40°Km: 2:39:41. Cerco di fare calcoli ma non credo
a quello che leggo. Sono davvero ad un passo dalla gloria. Curva e controcurva portano ad uscire
sul lato sud di Central Park, ancora leggermente in salita, sempre più pieno di gente.
Le gambe vanno ancora, tanto da farmi recuperare ancora qualche posizione. Curva secca a destra,
sono nuovamente dentro il parco, ed un cartello a destra segna “800 yards to go”. Si accende il turbo.
Non credevo ai miei occhi… vedevo l’arrivo a poche centinaia di metri. Ero felicissimo,
chi mi ha visto da fuori sostiene che addirittura ridevo. Avevo le ali ai piedi…
2h48’16 segnava il cronometro: INCREDIBILE.
Al collo mi infilano una medaglia. La Battaglia è vinta.