Rivoglio la mia dignità.

di Bruno Sampaolesi - Inserito il 04 giugno 2008

Un cittadino senegalese mi ha pregato di palesare la sua opinione; gli ho dato una mano.
Rivoglio la mia dignità. Certo. questa vale meno molto meno, della sua panchina, ma io la voglio lo stesso.
Premessa: Sono un cittadino senegalese, residente a Porto Recanati da 13 anni, con regolare residenza, contratto di lavoro, contratto di affitto, iscrizione all’INPS, regolare CUD del datore di lavoro. Mando a scuola i miei figli, pago la mensa, i trasporti, la tassa sui rifiuti, l’acqua,la luce, il telefono. Non sono né xenofobo, né razzista.
Sono operaio della “Vattelappesca srl” in zona industriale Squartabue di Recanati.
La mia busta paga dice: 1.170,00 euro al mese tutto compreso. E’ un buon salario. Pensate: la signora che lavora accanto a me prende solo 980,00 euro al mese. Sa, lei è una donna! Si figuri prende anche meno di un extracomunitario come me. Che scandalo!

Sono fiero di lavorare in questa zona. Oggi come oggi, questo lavoro non lo vuole fare più nessuno, e tanto più con la crescita demografica dell’Italia, e specialmente quella delle Marche se non lavoro io e molti altri come me, il padrone della mia fabbrichetta, (chiedo scusa “ il datore di lavoro”) che lavora in un piccolo ufficio poco lontano da me, non potrebbe realizzare i suoi sogni.
Mentre scrivo queste cose mi viene da piangere.
Accanto al mio posto di lavoro c’è un operaio di “Scossicci”. Lui, va a pesca: mette le “retine”, e la moglie vende qualche chilo di pesce, in nero, agli intenditori, ai signori, a quelli che: ”Ah… Io, se il pesce non è super fresco non lo mangio”. E lo paga la metà del prezzo della pescheria. Anche il padrone dove lavoriamo noi lo compra sempre.

Invece quello che mi lavora accanto, sulla destra è di Sammarì. Pure lui va a pesca, mette le “Nazze”.Sa, adesso, è il tempo delle seppie. Sono buonissime le ho comprate anch’io, in nero, sono a buon mercato, per questo me le posso permettere.
Poco più in là, dietro la pressa dello stampaggio dei contenitori in plastica dell’acqua dei radiatori della Mercedes-Benz, accanto alla pressa dei contenitori in plastica delle sorprese degli ovetti Kinder, c’è uno di Bagnolo, un tipo tarchiato, scurito dal sole, dal vino rosso, dalla fatica.
Non è benvisto. E’ un “cuntadì”: quelli ch’anne un sacco de soldi.
A casa sua ha piantato 15 ulivi, la vignetta, due piante di ciliegie, l’orto. Quanta fatica!!! Ma vende qualcosa in nero e riesce a mandare la figlia all’università, a Milano, alla Bocconi.
Ancora più lontano dal posto dove lavoro, c’è uno del sud. Parla che nun si capisce gnente.
Lui il sabato e la domenica va a sbiancà gli appartamenti al villaggio SIRIO, naturalmente in nero, insieme al figlio, che invece taglia l’erba del giardino e la siepe. Pensi: lo fanno anche nelle villette di Guzzini , del fratello di Della Valle, dell’avvocato famoso di Macerata, e di quello di Roma, del parlamentare x del senatore y.

Io vivo all’Hotel House. Non posso fare l’orto, non so mettere le retine, pensi: non so nemmeno fare l’imbianchino, nessuno mi da lavori di giardinaggio. E poi la compagnia lì non è bella:drogati, spacciatori, delinquenti comuni, puttane, ruffiani, romeni, marocchini, mussulmani, tutta gente nullafacente che deve essere mantenuta dai portorecanatesi tutti.
E allora? Allora la domenica pomeriggio, per arrotondare, vado a stendere il mio tappetino esercitando spudoratamente un’attività decisamente illegale.
La mia arroganza e la mia mancanza di rispetto per le regole civili italiane mi inducono perfino ad occupare la panchina pubblica… quella del sig. Emilio. [Leggi ingervento]

Sig. Emilio chiedo perdono ma non posso fare altrimenti:Tengo Famiglia e la devo mantenere.
Mentre sto lì, cercando di vendere una borsetta, un’occhiale, tra un’incursione dei vigili urbanie una fuga precipitosa dagli agenti della PS o della Finanza, guardo i miei colleghi di lavoro.
Passeggiano lungo il corso del paese, insieme a tantissimi altri. Sottobraccio alle loro signore, vestiti bene. Vengono in centro per guardare e per essere guardati. Pieni della loro giusta dignità, della giusta stima della gente, del loro giusto riposo.
Voglio anche io quella giusta dignità.
Stampa questo intervento