La pesca della "sciabbega" da tempi remoti consisteva (ed ancor oggi consiste) nella pratica sotto costa con un natante spinto a soli remi, con un equipaggio composto tra le 10 e le 12 persone
articolato secondo un preciso ordine gerarchico:
il "Parò" (capo barca), un "barcaro" (responsabile della custodia della barca), uno o due "morè" (addetti ai servizi).
Tutti gli altri, di fatto, erano gli uomini della "ciurma" che non necessitavano di doti particolari, ma che dovevano avere buone braccia e buone gambe così da ben sopportare la fatica dei numerosi recuperi della grossa rete a riva.
La tradizione voleva che le ciurme venissero formate ogni anno il 19 marzo, giorno di San Giuseppe.
La cerimonia era preceduta da una messa di ringraziamento nella Chiesa del Suffragio nell'attuale Corso Matteotti.
Nel tempo le ciurme vennero poi composte, in gran parte, soprattutto nel periodo estivo, da giovani anche non direttamente coinvolti nelle attività marinare.
Nel loro insieme gli operatori di tale tipo di pesca erano chiamati "sciabbegotti".
Il trasporto del pescato dalla spiaggia alla pescheria era svolto in maniera che, oggi, può essere definita rituale e tale operazione costituisce l'essenza della disputa del Palio.
Perdere il pesce avrebbe significato "el mugugno del parò" ed anche degli stessi sciabbegotti.
I trasportatori delle coffe potevano essere uno o due a seconda della quantità del pesce pescato; erano di norma scalzi e solevano proteggere la spalla che sopportava il peso del bastone, grazie al "cullaro" (particolare attrezzo di corda e stoffa che serviva per il traino della rete) " 'na camigiola" o "camigiaccio" o un "berettu" o qualche straccio trovato occasionalmente per strada.