Erano 84 giorni ormai che non prendeva un pesce. Anche il giovane Alberto lo aveva abbandonato al triste destino di un mare povero di pesci e inquinato dalle azioni incoscienti dell’uomo. Giovanni, una lunga barba bianca aggrovigliata con pezzi di rete e frammenti di conchiglie. Guanti neri di cuoio trafitti da branchie argentate. Occhi azzurri come il mare cristallino. Un cappello di paglia dorata con incisa all’interno una frase a lui cara: “Pensa agli altri come a te stesso”.
Giovanni aveva 84 anni come i giorni passati senza vedere neppure un pesce nel suo adorato Adriatico. Una mattina, con la speranza di trovare anche solo un pesce, salta giù dal letto e va verso la spiaggia per preparare la sua fedele barca “Olga”, chiamata come la dolce compagna scomparsa in mare durante una tempesta più di 20 anni fa. Afferra la canna da pesca e l’appoggia nello scafo della barca, poi raccoglie le malconce reti blu e rosse e le sistema a poppa. Manca solo il retino, che ripone a prua pronto a salpare.
Prende la bussola e la consulta per cominciare a navigare verso sud est.
Dopo poco si imbatte in una scogliera così lucida da riflettere le prime luci del giorno. Avvicinandosi nota che la scogliera era circondata
da rifiuti e da acque torbide e scure. Improvvisamente un mulinello intrappola la sua barca. Giovanni spaventato e confuso non riesce a capire
cosa sta succedendo, immobile come una statua di pietra viene trasportato nella profondità degli abissi.
Cerca di aprire gli occhi ma è solo buio, non vede nulla, solo i pezzi della sua imbarcazione distrutta. Cerca disperatamente di tornare in superficie
ma non ci riesce perché qualcosa di viscido lo trattiene sul fondo, una lunga alga marina.
Era spacciato, gli rimanevano solo pochi secondi di ossigeno. In quel momento qualcosa di luminoso si accende alle sue spalle.
Era lo spaventoso e temuto pesce lanterna, il terrore degli abissi. All’improvviso un arpione trafigge la mostruosa creatura e dal buio esce una figura umana che afferra Giovanni e lo trascina via, fornendogli una maschera a forma di conchiglia che gli permette di respirare nel profondo del mare. Come un fulmine viene trascinato a grande velocità da quella strana figura, superano scogli e barriere coralline e raggiungono un mondo sommerso fatto interamente di rifiuti. Castelli di plastica, strade di lattine, laghi di petrolio e montagne di tappi di bottiglie sommersi nell’abisso del mare.
Tutto questo fa rabbrividire Giovanni. La strana figura si avvicina e lui subito riconosce il viso del giovane Alberto, il suo fidato Murè. Poi osserva con grande stupore una coda argentata partire dai suoi fianchi. Non aveva né piedi né gambe e dalla testa scendeva una cresta dorata che ondeggiava al ritmo delle correnti.
Alberto esclama: “Mi dispiace averti abbondonato, dovevo tornare dal mio popolo per salvarlo dall’inquinamento che vedi. Loro pensano di vivere
nella normalità ma non è vero. L’uomo sta distruggendo la nostra civiltà e tu devi aiutarmi”.
Il pescatore risponde: “Alberto, non pensavo fossi una divinità marina. Ora capisco tante cose, come la frase che hai inciso nel mio cappello:
“Pensa agli altri come a te stesso” Quando eri con me in barca facevi di tutto per proteggere i tuoi abitanti, non facendoli finire nelle nostre reti,
la tua missione era molto più importante e per questo io ti aiuterò a salvare il tuo popolo”.
Come una volta si misero a lavorare duramente e crearono un’enorme barca fatta di coralli e di legni di vecchi vascelli sprofondati nel mare.
La barca fu battezzata con il nome di “Speranza” come quella che ebbero Giovanni ed Alberto nel salvare il pianeta dall’ inquinamento dell’uomo.
Giovanni capì che non era importante il suo pescato giornaliero ma la cosa più importante era avere al suo fianco un giovane amico pronto ad aiutarlo
per garantire un futuro di speranza al mondo intero e ai giovani pescatori che come lui avrebbero pescato tra acque limpide e pulite.